Laives ai tempi della
Capitolo 18
via Claudia Augusta
Gli Dei
Qualche tempo fa si è parlato di luoghi di culto e divinità senza però approfondire il discorso. Vediamo allora di riassumere quel poco che è noto della “religione” retica.
Sappiamo che i Reti erano un’etnia non indoeuropea. La loro lingua (e cultura) non apparteneva quindi a quell'originario idioma che si pensa proprio di un vasto gruppo di popolazioni (si parla di guerrieri nomadi) proveniente da un luogo ancora indefinito ad oriente ma interessante poi quasi tutto il continente europeo e gran parte di quello asiatico.
Non ci addentriamo troppo in questo campo, a noi basta sapere che i Reti (come gli Etruschi) erano, per così dire, fatti di un'altra pasta. Di quale, purtroppo, ancora non è stato chiarito.
Fatto sta che ad un certo punto (su per giù tra i 700 e i 500 anni prima della nascita di Cristo, nella cosiddetta età del ferro) compaiono, seppur divisi in una miriade di tribù mai riunite in uno stato organizzato come lo intendiamo noi, in una vasta area che va dal confine francese a quello friulano e dalla bassa Baviera all'alto Veneto. È, questa, un’epoca in cui il bronzo come metallo privilegiato viene sostituito dal ferro, dapprima nella realizzazione di oggetti pregiati e poi mano a mano anche nell'uso quotidiano per la fabbricazione di attrezzi e armi da guerra.
E l’uso dei vari metalli – al pari delle sepolture e dei riti connessi, di cui però parleremo un’altra volta – è importante per comprendere non solo la vita quotidiana delle persone ma anche la loro dimensione spirituale. Nei luoghi di culto riconducibili ai Reti – abbiamo già parlato dell’angolo sacro di San Maurizio presso Bolzano – sono stati rinvenuti centinaia e centinaia di piccoli oggetti (gadget religiosi, diremmo oggi) offerti dai credenti alle loro divinità. In particolare, pare predominante la figura della dea Raetia, una sorta di grande madre celeste che veniva invocata un po’ per tutte le contrarietà fisiche e non fisiche che affliggevano quel popolo. Solo a San Maurizio sono stati trovati più di 3000 doni tra anelli in bronzo, fibule, statuette raffiguranti guerrieri o altre figure simboliche offerti a questa dea.
Altre divinità note sono quelle legate alla coltivazione della vite e prima ancora alla caccia. Grandi feste dedicate a questi dei venivano celebrate in occasione della vendemmia e di grandi battute di caccia. Accanto a questi, divinità legate alle sorgenti, all'amore e alla fertilità, alla procreazione, alla notte e agli inferi, ai boschi e alle pietre sacre. Insomma, siamo in presenza di un quadro abbastanza simile a quello di altri popoli dell’area mediterranea come i Fenici, gli stessi Greci e, non ultimi, gli Etruschi e i Romani.
Una divinità astratta e “inutile” allora non esisteva, ogni dio doveva avere precise caratteristiche e attitudini e saper risolvere questo o quel problema. Per cui, essendo le urgenze umane più o meno uguali ovunque, anche gli dei dei vari popoli si assomigliavano tutti, ovviamente cambiando nome ogni 50 chilometri ma svolgendo, in sostanza, le stesse funzioni.
Ovviamente ogni divinità aveva il suo culto e i suoi sacerdoti. La figura del greco Dioniso (dalla sua controfigura romana Bacco hanno preso il nome i nostri baccani e il baccano, gran rumore) noto come dio del vino, era sicuramente molto diffusa, con nomi differenti, in tutte le aree in cui si coltivava la vite e ovviamente anche tra i Reti. Le feste a lui dedicate sono intrise di una religiosità a noi spesso incomprensibile dato che la preziosa bevanda, inizialmente riservata a guerrieri e sacerdoti, vi veniva consumata in grande quantità e con le conseguenze ben immaginabili. (Vedasi a tal proposito l’immagine retica raffigurante appunto una scena estatica… che, e men ne scuso, mi sono permesso di sottoporre a una piccola censura).
Perciò non sorprende che i luoghi dedicati al culto si trovassero quasi sempre al di fuori dei villaggi, possibilmente in altura, tra terra e cielo e, soprattutto, lontano da sguardi indiscreti.
Insomma le due dimensioni – quotidiana e razionale e spirituale e irrazionale – si preferiva, per ovvie ragioni non ultimo di “ordine pubblico”, non confonderle.