Laives ai tempi della
Capitolo 23
via Claudia Augusta
Reti e Fenici
Torniamo con i piedi per terra e, dunque, a un discorso più prosaico. L’argomento da affrontare è di notevole importanza, posto che il ruolo rivestito in una società dal culto dei morti, con tutto ciò che ne consegue – ad iniziare dalle varie modalità di sepoltura – ci permette non solo di buttare un occhio indiscreto sul cosiddetto aldilà ma anche di conoscere meglio la “Weltanschauung”, ossia la visione del mondo di una civiltà.Prendiamola, come sempre, un po’ alla larga. Nello stesso periodo in cui i nostri amici Reti iniziarono a popolare le regioni alpine (e qui va detto che questi territori erano ovviamente già abitati da alcuni millenni, ma ne parleremo in un'altra occasione), il bacino del Mediterraneo – che, non dimentichiamolo, fu la vera culla della nostra cultura – fu esplorato “via mare” e in un certo qual senso “conquistato” da un altro popolo, all'apparenza molto distante e diverso dai Reti ma, a ben vedere, dotato di caratteristiche assai simili alla misteriosa gente alpina.Stiamo parlando dei Fenici. Essi partirono, più o meno un millennio prima della nascita di Cristo, dalle coste dell’odierno Libano e raggiunsero non solo la punta estrema del mare nostrum (percorrendo più di 2000 miglia) ossia le colonne di Ercole, dove a quell'epoca finiva il mondo conosciuto, ma si spinsero ben oltre Gibilterra per circumnavigare la penisola iberica e raggiungere le grandi isole britanniche. Il motivo che li spinse ad un’impresa tanto temeraria che può essere paragonata al nostro sbarco sulla luna fu, oltre allo spirito d’avventura e alla loro innata curiosità di esploratori, in primo luogo la ricerca di miniere e metalli allora preziosissimi quali ossidiana (oro nero dell’antichità), argento (metallo con cui venivano coniate le monete), rame, ferro, stagno, piombo e manganese, essenziale per la realizzazione del vetro, importato in occidente proprio dagli artigiani fenici.Ma al di là di questo aspetto, i Fenici e i Reti hanno in comune soprattutto una cosa: l’organizzazione sociale. Essi fondarono grandi e importanti città come Tiro e Sidone, come Biblo e l’odierna Beirut (Berito) ma non arrivarono mai a formare uno stato unitario vero e proprio, con un sovrano e un esercito a sua protezione. E ciò avvenne anche nel caso dei Reti: un’infinità di insediamenti di piccole e medie dimensioni ma nessuno stato, nessun capo unico, nessun esercito.
I Fenici non cercarono mai di soggiogare gli altri, come pure i Reti, ma si limitavano a fondare dei punti di appoggio strategici per la loro attività principale: il commercio. E così fondarono ((si ritiene la bellissima Didone nell’804 a.C) Cartagine nell'odierna Tunisia, città di uno splendore assoluto rasa al suola, guarda caso, dai Romani nell'anno 146 a.C.Oltre a questa città faro al centro del Mediterraneo, essi fondarono tre città in Sicilia senza tuttavia sottomettere le popolazioni che già vi risiedevano; e queste città furono Mtw (Mozia, vedi foto), Ziz (Palermo) e Solunto.
Purtroppo qui non abbiamo il tempo di parlarne, ma sarebbe un’altra storia assai affascinante. Altri insediamenti fenici si trovano nella vicina Sardegna e lungo la costa meridionale di Spagna e Francia. I Fenici dunque, pur avendo donato al mondo l’alfabeto di 22 lettere (a quanto pare “inventato” per ragioni soprattutto commerciali nella città di Biblo), non furono dei gran scrittori, proprio come i nostri Reti: anche loro ci sono noti soprattutto attraverso le cronache degli storici greci e romani che, per ovvie ragioni, ne deformarono non poco l’immagine… Ma ciò che ancor più accomuna Fenici e Reti è per l’appunto il culto dei morti, ed è per questo che ci siamo spinti tanto oltre il nostro orizzonte naturale.