Correva l’anno 739 ab urbe condita ovvero dal giorno in cui Romolo e Remo ebbero la bella idea di fondare Roma.
Per avere qualche riferimento storico, possiamo aggiungere che Giulio Cesare era stato ucciso una trentina d’anni prima, Cleopatra era morta da meno di quindici anni e in un altro angolo dell’impero stava per nascere in nostro Signore Gesù Cristo.
Verso sera, i nostri tecnici imperiali, incaricati da Augusto in persona di progettare la via Claudia Augusta, scesero finalmente da Castelfeder e, esausti dal tanto camminare (si sa che i Romani che se lo potevano permettere preferivano farsi portare), si infilarono nella prima bettola o hostaria che trovarono a Endidae per rifocillarsi con due buoni boccali di vino retico.
Erano uomini preparati ed esperti, consapevoli dell’importanza della loro impresa. Qualcuno di loro aveva contribuito a realizzare opere di inimmaginabile difficoltà negli angoli più remoti del mondo. Insomma, quando da Laives ritornarono anche alcuni agrimensori che vi avevano effettuato un ulteriore sopralluogo recandosi sulla collinetta di Peterkoefele (vedasi foto, ancora senza la famosa chiesetta…), srotolarono le pergamene e iniziarono a disegnare.
Mentre i nostri Romani discutono e progettano, cerchiamo di riassumere in poche parole quel che avevano visto.
La valle dell’Adige non era affatto una landa abbandonata ma, ricordiamolo una volta per tutte, il centro vitale di una popolazione ivi stanziata da almeno cinque secoli. Non si sa moltissimo di questa gente che i Romani chiamarono Reti ma quel poco che si sa è di grande rilevanza. Da dove fossero originariamente scappati, non è mai stato accertato. Fatto sta che si insediarono in tutto il Tirolo odierno, nel Trentino, in parte della Svizzera e della Bassa Baviera.
La loro lingua, di cui purtroppo si conosce poco, non era di origine indoeuropea e già i Romani ritenevano fosse strettamente imparentata con quella degli Etruschi. Avremo modo di parlarne diffusamente più avanti.Tra Salorno e Laives/Bolzano, più o meno dove oggi sorgono i paesi che conosciamo, si trovavano vari villaggi retici.
I Reti erano abilissimi artigiani e coltivatori, allevavano bestiame che d’inverno pascolava nei campi ai margini dei villaggi e d’estate veniva condotto all’alpeggio nelle zone tra Nova Ponente e Aldino. A sud di Vadena, in località Laimburg, dove pure esisteva il passaggio verso l’Oltradige, sorgeva un grande porto fluviale con banchine e punti d’attracco formati da grandi massi di porfido visibili ancora oggi. Il porto consentiva ai Reti di intrattenere rapporti commerciali con tutte le popolazioni residenti lungo le sponde dell’Adige, gli Etruschi e gli stessi Romani.
Insomma, qui ci troviamo al centro di una valle fiorente, ricca, orgogliosa della propria secolare cultura: dovremo parlarne a lungo in futuro.
Oggi ci è sufficiente capire che i proficui rapporti soprattutto commerciali tra Romani e Reti si incrinarono proprio a causa dell’intenzione di Augusto di costruire una strada nel bel mezzo di questo primordiale giardino dell’eden. I Reti, che avevano capito fin troppo bene che il loro mondo versava in grave pericolo, si difesero coi denti e ci volle un’operazione violenta da parte di Druso e Tiberio per costringerli alla resa definitiva.
Un’operazione violenta che i possidenti romani non videro di buon occhio, perché estremamente dispendiosa: che allora, a differenza di adesso, le tasse (che servivano a finanziare le campagne militari) le pagavano i ricchi e ovviamente non volevano che i loro soldi venissero sperperati.